Cos’è l’Arrosticino

Cos’è l’arrosticino

L’Arrosticino, è il piatto simbolo della cucina abruzzese, espressione semplice e diretta della genuinità della nostra terra. Orgoglio d’Abruzzo, come viene definito da alcuni estimatori, questa pietanza sembra essere stata “inventata” e negli anni perfezionata proprio a Civitella Casanova e in alcune aree limitrofe.
La “leggenda”, che mostra avere chiari riferimenti alla realtà, racconta che durante una tormenta di neve, alcuni pastori con le greggi furono costretti a deviare dal tratturo che li conduceva all’alpeggio verso l’abitato di Civitella per trovare un sicuro riparo.

La storia dell’arrosticino

Tornata la bella stagione, alcuni di essi ripresero la via della transumanza, altri invece, decisero di rimanere a Civitella come garzoni in qualche bottega o presso famiglie agiate. In tempi non proprio facili, alcuni di essi, aguzzando l’ingegno iniziarono a vendere per strada, da ambulanti, la carne delle proprie greggi, spezzettandola e cuocendola sui carboni, così come erano abituati a cuocerla sugli stazzi di montagna per il proprio fabbisogno.
La formula funzionò e il “primitivo” arrosticino venne perfezionato con l’avvento del ceppo. Infatti, per una più facile e pratica cottura, i pezzi di carne divennero dei bocconcini infilzati in un ceppetto di sanguinella,
un arbusto che cresce rigoglioso lunghe le rive del torrente Schiavone.

Il ruolo dello “jarrester”

La pratica si diffuse e “jarrester” (colui che si apprestava a svolgere questo nuovo mestiere) iniziò a spostarsi da Civitella anche nei paesi limitrofi, soprattutto in occasione di fiere, festività e mercati. Il passo successivo fu l’invenzione del “cociarruste” (cuoci arrosticino), che semplificò notevolmente la pratica della cottura che avveniva a terra sulla brace.

La poesia di Ernesto de Carolis

A suggellare il forte legame di questa prelibatezza con Civitella Casanova, intorno agli anni ‘30 del Novecento, Ernesto De Carolis, insegnante e artista locale, compose la poesia “J’arrestiglie de Cevetelle”, di cui riportiamo il testo originale in dialetto civitellese:

“Mite è bbone j’arrestiglie
sopre a quattre carveniglie
quande quande s’ha bbreschete
che neh ‘glutte t’hi magnete.
È guesenze de jandeche:
ma che studie nen te deche
p’arcapà qui veccueniglie
grasse i magre che se sfriglie.
E che nu profume spanne
che d’a n’core saglie n’ganne.
Pe sta cosa prelebbate
tutte chiende ci’ha prevate
Categnene i Carpenete
tante ha fiette ma nen c’ha arscete.
Prove, arprove, taglie, artaglie,
mbiveze, azzoffele, sventaglie,
ma duv’eglie quej addore?
Duva sta que lu sapore?
È Pretore pe li fuse,
l’arte è pe chi l’ause
j’arrestiglie de Cevetelle
e ste citele gnie le stelle,
è ddu cose accellende
che sta ecche solamende”.

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